Consiglio di Stato SEZ. V – sentenza 3 ottobre 2003 n. 5740 – Pres. Elefante, Est. Carboni – De Falco (Avv.ti Napolitano e Vitale) c. Comune di Nola (Avv. Marone) – (conferma T.A.R. Campania, sez. V, sentenza 28 dicembre 1994, n. 518

L’ingegner Di Falco, capo dell’ufficio tecnico del comune di Nola, fu sottoposto a custodia cautelare con le imputazioni di abuso in atti d’ufficio e di favoreggiamento personale con ordinanza del giudice per le indagini preliminari del tribunale di Napoli del 3 giugno 1993, e con provvedimento del sindaco di Nola 7 giugno 1993 n. 11799 fu quindi sospeso dal servizio. Il 5 luglio 1993 fu chiesto il suo rinvio a giudizio. Avendo il tribunale del riesame il 28 giugno 1993 disposto la sua scarcerazione, il 6 agosto 1993 egli chiese al comune di essere riammesso in servizio. Il presidente della commissione amministratrice straordinaria del comune con provvedimento 24 settembre 1993 n. 19509 ne dispose la sospensione cautelare dal servizio sino all’esito del procedimento penale. Il provvedimento fu impugnato dall’interessato in via giurisdizionale e il giudice amministrativo in sede cautelare ne dispose la sospensione dell’esecutività, rilevandone l’insufficiente motivazione.

Il presidente della commissione amministratrice con il provvedimento indicato in epigrafe ha nuovamente disposto la sospensione cautelare dal servizio dell’ingegner de Falco, il quale ha impugnato il nuovo provvedimento con ricorso al tribunale amministrativo regionale per la Campania notificato il 20 aprile 1994 (procedimento di primo grado n. 5276/1994 di ruolo generale, n. 1120/1994 della quinta sezione).

A sostegno del ricorso ha dedotto che il nuovo provvedimento era viziato per violazione dell’articolo 91 dello statuto degl’impiegati civili dello stato emanato con decreto del presidente della repubblica 10 gennaio 1957 n. 3 e dell’articolo 51, comma 9, della legge 8 giugno 1990 n. 142 sulle autonomie locali, nonché per violazione sui princìpi generali sui provvedimenti disciplinari, inesistenza dei presupposti, difetto d’istruttoria, difetto di motivazione e ingiustizia manifesta. In sostanza ha lamentato che il provvedimento non conteneva l’esposizione dei fatti (che avevano dato origine al procedimento penale) e non aveva tenuto conto della valutazione dei fatti stessi effettuata dai giudici penali.

Il tribunale amministrativo regionale con la sentenza indicata in epigrafe ha respinto il ricorso giudicandone infondati i motivi e rilevando, in particolare, che il provvedimento era esaurientemente motivato in ordine al pregiudizio che la permanenza in servizio del dipendente, sottoposto a procedimento penale per fatti inerenti all’esercizio delle sue funzioni di dipendente del comunale, avrebbe arrecato al prestigio dell’amministrazione.

L’ingegner De Falco appella riproponendo le originarie censure e diffondendosi sui fatti costituenti oggetto del procedimento penale in corso, che, secondo l’esposizione dell’appellante, riguardano atti da lui assunti sia come capo dell’ufficio tecnico sia come componente della commissione edilizia comunale.

DIRITTO

L’articolo 91 del testo unico sullo stato giuridico degl’impiegati civili dello Stato emanato con decreto del presidente della repubblica 10 gennaio 1957 n. 3, applicabile anche ai dipendenti delle unità sanitarie locali e in forza del quale è stato emanato il provvedimento impugnato nel presente giudizio, dispone: «L’impiegato sottoposto a procedimento penale può essere, quando la natura del reato sia particolarmente grave, sospeso dal servizio». Il provvedimento, essendo facoltativo, dev’essere motivato; ma la motivazione verte sull’opportunità o meno di mantenere l’impiegato in servizio, in relazione alla gravità dei fatti addebitati.

Non occorre invece che il provvedimento esponga analiticamente i fatti criminosi addebitati all’imputato, e anzi semmai l’amministrazione deve evitare di pubblicizzare inutilmente fatti che costituiscono oggetto d’accertamento da parte del magistero penale; e neppure occorre che l’amministrazione s’addentri nella disamina dei provvedimenti emessi e delle valutazioni effettuate nel corso del procedimento penale, essendo invece necessario e sufficiente che l’amministrazione motivi, come ha fatto nel caso in esame, in ordine al pregiudizio ad essa derivante dalla permanenza in servizio del dipendente.

L’appello, in conclusione, è infondato e va respinto. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in € 2000.

Per questi motivi

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta),

respinge l’appello indicato in epigrafe e condanna l’appellante al pagamento delle spese di giudizio, liquidate in duemila euro.

Così deciso in Roma il 24 giugno 2003 dal collegio costituito dai signori:

Agostino Elefante presidente